1970-1990
Vent’anni di manifesti del PCI mantovano
Erano gli anni in cui non c’era internet e tanto meno i social network. La politica comunicava soprattutto attraverso gli strumenti del comizio e dell’incontro pubblico: manifestazioni di massa nelle piazze, dibattiti di natura politica e culturale nelle sale. Occasioni per riscaldare il cuore dei militanti e per offrire informazioni: momenti di crescita, individuale e collettiva. Il manifesto affisso sui muri lanciava parole d’ordine, motivava alla lotta e indicava giorno, luogo e ora della manifestazione.
Il Partito comunista italiano, tra tutti i partiti, fu quello che più di altri dedicò grande attenzione allo “strumento manifesto” ed elaborò, grazie alla collaborazione disinteressata di artisti, pittori e grafici uno “stile” fondato in primo luogo sulla ricerca e sulla innovazione nel modo di comunicare.
Come non ricordare la sensibilità poetica e politica di Albe Steiner, il grafico che più di altri innovò e fu capace di trasformare la grafica da strumento di “persuasione occulta” in veicolo di cultura.
Egli sosteneva che il manifesto era a suo modo un’opera d’arte e che un buon manifesto non poteva che scaturire da uno studio approfondito di ciò che si vuole comunicare, ma doveva anche tener conto di fattori come i luoghi dove dovevano essere affissi, la luce e persino la fretta con la quale le persone guardavano il manifesto.
Inoltre, egli sosteneva che “Il manifesto non è un’arte minore; il valore è nella sua qualità artistica e solo questa lo determina”.
Il Partito comunista a Mantova, grazie alla collaborazione di Roberto Pedrazzoli e di altri pittori mantovani, che sperimentavano e producevano anche in proprio con tecniche artigianali quali la xilografia e la serigrafia, produsse in quegli anni una messe di manifesti che si inserì a pieno titolo nella ricerca portata avanti da Steiner.
Lo testimoniano in maniera evidente i manifesti che pubblichiamo, riferiti in larga parte alle Feste de l’Unità, ma anche ad altre manifestazioni. Colpisce in particolare la libertà di espressione e il gusto per la ricerca che negavano in radice la teoria secondo la quale i comunisti erano “grigi burocrati”. L’iconografia delle Feste de l’Unità è quella che ha subito, nel corso degli anni, le maggiori modifiche.
Si osservino attentamente i manifesti che annunciano le Feste nazionali che si sono svolte a Mantova sviluppati con la più ampia libertà e dove gli elementi fondamentali sono a volte un disegno, altre solo uno schizzo oppure un gioco di colori o un collage di fotografie.
Essi risveglivano, in chi li osservava, il bisogno e l’immaginazione del cambiamento che era il fine ultimo del Partito comunista.
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